martedì 7 agosto 2012

Intervista a Giuseppe Tocco, coordinatore Unione Ciechi d'Europa per la regione Sardegna

Giuseppe Tocco è un ragazzo di 36 anni, da 12 anni lavora nel campo dei non vedenti e degli ipovedenti, prima come imprenditore e poi come operatore sociale e dirigente di un’associazione di categoria. Ora è coordinatore regionale Uce per la Sardegna. Conosciamolo meglio.

Giuseppe, parlaci della tua collaborazione con l’Uce.

Conclusa l’esperienza con quella che era la mia ex-associazione, ho sentito l’esigenza di collaborare ad un progetto nuovo: la nascita dell’Unione Ciechi d’Europa. Questa associazione nasce da un’esigenza comune a me a tanti altri non vedenti, cioè la volontà di creare un nuovo organismo che possa affiancar il mondo politico e “ristrutturare” la figura del non vedente, sia da un punto di vista legislativo, sia da un punto di vista educativo e formativo.

Qual è il tuo ruolo all’interno dell’Uce e quali sono gli obiettivi dell’associazione?

Sono il coordinatore della regione Sardegna, e mi occupo delle quattro sezioni provinciali sarde. Questo nuovo soggetto associativo nasce con la volontà di essere una sorta di “consulente” per il mondo politico; per fare in modo che si muova qualcosa sia da un punto di vista legislativo, la figura del non vedente va rinnovata e contestualizzata ai tempi moderni, e soprattutto dal punto di vista formativo.

Proposte dal punto di vista formativo?

Ci batteremo affinchè il non vedente abbia la possibilità di apprendere una professione, che non deve e non può essere solo quella del centralinista. Il non vedente, essendo un disabile sensoriale, ha le stesse capacità intellettive di qualsiasi altra persona normodotata, di conseguenza queste peculiarità devono essere sfruttate. Il non vedente, avendo questo handicap, ha bisogno di determinati tipi di ausili, e ha bisogno di poter imparare ad utilizzarli. Deve essere formato professionalmente in strutture adeguate e che abbiano esperienza in questo campo. Dal punto di vista professionale e umano, si dovrebbe fornire un sostegno psicologico, sia per il ragazzo che per la sua famiglia.

Per quanto riguarda l’istruzione, cosa ritieni si possa fare?

Il bambino non vedente non può essere relegato in uno stanzino con l’insegnante di sostegno. Avendo delle capacità intellettive intatte, deve poter essere messo nelle condizioni di studiare. Occorre fornirgli la strumentazione, insegnargli ad utilizzarla e, contemporaneamente, formare insegnanti in grado di poterlo accompagnare in un percorso formativo. Dovrebbe essere l’insegnate di ruolo ad essere formato, e chi si occupa della formazione del disabile, dovrebbe occuparsi anche della formazione degli insegnanti.
Questo affinchè il bambino possa concorrere, nel percorso di studi, con i suoi compagni di classse, e sentirsi parte di questa, non escluso e sradicato da quell’ambiente per poter essere messo sotto la tutela dell’insegnate di sostegno. Così facendo si contrinuisce a creare il vero disagio, quello psicologico, che in taluni casi porta ad una sorta di ritardo sociale, dovuto al fatto che questo bambino non è stato messo nelle condizioni di vivere all’interno del gruppo.

“Il non vedente è possessore di diritti in quanto cittadino, non perché non vedente. Il non vedente deve e può emanciparsi. Se non si arrende può contribuire alla produttività dello Stato. Spesso ci si accontenta semplicemente della pensione perché (purtroppo succede anche in Sardegna) la famiglia stessa vive la disabilità del non vedente come un peso, e la sua pensione come una fonte di reddito ulteriore, ostacolando, così, l’emancipazione del proprio figlio”.


Fonte:
http://www.unioneciechieuropa.it/uce/239/giuseppe-tocco-coordinatore-unione-ciechi-d-europa-per-la-regione-sardegna.html

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